Luogo simbolo dell’archeologia baiana, il Ninfeo Imperiale Sommerso di Punta Epitaffio è un sito di straordinaria importanza per la storia dell’archeologia subacquea. In questo ambiente sommerso alla base del promontorio tufaceo di Punta Epitaffio, infatti, furono condotte campagne di ricerca e di documentazione sin dalla fine degli anni Cinquanta, quando il padre dell’archeologia subacquea italiana, Nino Lamboglia, vi trovò lo spazio ideale per sperimentare la quadrettatura e il rilievo di un edificio antico in ambiente subacqueo. 

Lavori di documentazione tra le repliche del Ninfeo nell’ambito del Progetto MUSAS (foto M. Stefanile)

Le planimetrie prodotte in quelle pionieristiche campagne furono poi aggiornate nel corso di una grande operazione di scavo e documentazione condotta nel 1982 sotto la guida di Piero Alfredo Gianfrotta e Fausto Zevi: l’edificio, già di per sé considerato un rilevante settore dell’antico palazzo imperiale di Baia, aveva infatti restituito nel 1969, a seguito di una mareggiata, due statue profondamente corrose dagli organismi marini.  

Le campagne del 1982 permisero di riportare in superficie tutte le altre statue superstiti, e di affidarne l’interpretazione iconografica a Bernard Andreae: fu così possibile capire che l’ambiente, che andava letto come un ninfeo-triclinio, una grandiosa sala da banchetti connessa all’acqua, era dotato di una straordinaria decorazione scultorea di argomento odissiaco, al pari della già famosa Grotta di Tiberio a Sperlonga; nell’abside di fondo, resa come una finta grotta secondo la consuetudine del tempo, infatti, si riproponeva la scena che avrebbe preceduto l’accecamento del ciclope Polifemo, con l’astuto Ulisse impegnato a porgere la coppa di vino,  aiutato da un compagno, al mostruoso pastore; una scena che ben si accordava con uno spazio dedicato a banchetti e al consumo del vino, e che riprendeva un’iconografia antica e già largamente usata in altri contesti, e ne faceva sontuosa fontana.

Le altre statue, tra le quali due effigi di Dioniso, di cui uno con pantera, pure richiamavano il vino, riproponevano le fattezze della famiglia imperiale, e nello specifico dei più stretti congiunti dell’imperatore Claudio, al quale la risistemazione del Ninfeo, verosimilmente già augusteo, andava attribuito: Antonia Minore, nipote di Augusto e madre di Claudio, nello schema di una Kore Albani, e la piccola Ottavia Claudia, morta in tenera età.

Le operazioni del 1982 ebbero inoltre il merito di sperimentare e perfezionare i principi dell’archeologia stratigrafica in ambiente sottomarino, documentando l’edificio sommerso al pari di un sito sulla terraferma, e sfruttando ogni elemento, dalle minime tracce della prima fase edilizia fino alla moneta dell’età di Giustiniano, per comprendere le dinamiche avvenute in un periodo di oltre sei secoli.

Repliche delle statue nel Ninfeo di Punta Epitaffio (foto M. Stefanile)

In anni recenti, il Ninfeo di Baia si è convertito in un grande laboratorio di musealizzazione del patrimonio sommerso: dapprima le statue hanno trovato posto nell’allestimento inaugurato nel 1997 nella Torre Tenaglia del Castello Aragonese di Baia, sede del Museo Archeologico Nazionale dei Campi Flegrei, con una ricostruzione, in scala leggermente ridotta, dell’intero edificio.

Nel 2009, poi, repliche moderne delle statue sono state ricollocate nel sito sommerso, forse il più visitato all’interno del Parco Archeologico Sommerso di Baia, creando un eccezionale itinerario subacqueo per turisti ormai provenienti da ogni parte del mondo.

La ricerca, nel frattempo, è andata avanti, approfondendo il legame tra il Ninfeo e gli edifici vicini, tra i quali si segnala un notevole complesso termale, e le relazioni con l’adiacente strada basolata, splendidamente conservata e ben riconoscibile, per un lungo tratto, sul fondale marino.

 

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