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STATUA DI ULISSE

Rinvenuta nel mese di gennaio del 1969, a seguito di una mareggiata, nel Ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio, la statua di Ulisse completava, con quella perduta di Polifemo e con quella del compagno con l’otre, la decorazione dell’abside di fondo dell’edificio baiano, caratterizzata come un grande antrum cyclopis. La scultura, in marmo bianco, rappresentava l’eroe omerico, nell’atto di porgere al ciclope la coppa di vino, secondo quanto tramandato in un famoso episodio dell’Odissea: una scena ripresa in altre rappresentazioni, la più famosa delle quali è forse il frontone da Efeso, oggi ricostruito al Museo di Selçuk, in Turchia. La testa di Ulisse è andata perduta a causa dell’azione degli organismi marini e può essere ricostruita solo sulla base di confronti iconografici. La statua di Ulisse durante le operazioni di recupero (foto C. Ripa) La statua di Ulisse nel momento in cui, imbragata, viene riportata in superficie (foto C. Ripa)
La statua manca di parte delle spalle e della testa a seguito del degrado operato da organismi marini perforanti che hanno aggredito il materiale costitutivo nelle parti non coperte dal sedimento. Nell’immagine seguente tale fenomeno è stato rappresentato fornendo un’ipotesi ricostruttiva che permette di stimare la rilevante perdita subita dal manufatto. L’azione di degrado maggiormente distruttiva è stata quella dovuta a molluschi bivalvi, che hanno densamente colonizzato la parte sommitale del manufatto. L’immagine sottostante mostra le numerose perforazioni scavate dalla specie Lithophaga lithophaga (nota come dattero di mare), che si è insediata addentrandosi nel marmo secondo diverse orientazioni in relazione allo spazio utilizzabile e alla direzione della corrente. L’identificazione della specie è stata effettuata sulla base della forma delle gallerie e del rinvenimento di numerosi esemplari ancora all’interno dei fori. L’immagine in basso illustra la posizione del mollusco all’interno della galleria. Questo tipo di attacco ha depauperato il manufatto di una ingente quantità di materiale lapideo originario portando alla totale distruzione della parte superiore. In corrispondenza delle parti bioerose dai molluschi ed anche delle zone circostanti, è stata osservata la presenza di perforazioni e cavità attribuibili all’attacco di spugne perforanti (il cui processo di bioerosione è visibile nell’immagine sottostante). Tale meccanismo di perforazione avviene mediante un’azione chimico-meccanica svolta da cellule specializzate che inglobano piccoli frammenti (noti come “chips”) che vengono espulsi nell’acqua dalle strutture esalanti della spugna. Le osservazioni al microscopio ottico e al microscopio elettronico a scansione (SEM) di piccoli frammenti hanno evidenziato che le parti più superficiali della pietra sono state aggredite da microoganismi che hanno scavato un denso intreccio di gallerie di dimensioni variabili da 2 a 10 micron. L’impiego di resine poliestere ha consentito di ottenere calchi fedeli di tali gallerie e di individuare diversi gruppi microrganismi (cianobatteri, microfunghi e microalghe) sulla base della morfologia dei calchi stessi. Questo tipo di degrado, sebbene non visibile ad occhio nudo, può spesso favorire la colonizzazione ad opera di macroorganismi che sono facilitati dalla minore resistenza del substrato.

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N. rif. MUSASBAI-015N. inv.222736MisureAlt. cm 175MaterialeMarmoCollocazioneMuseo Archeologico dei Campi Flegrei, sala 55ProvenienzaNinfeo imperiale sommerso di Punta dell’Epitaffio (1969)DatazioneI secolo d.C.Share